COP 26. Un fallimento?

Si è concluso il più importante incontro mondiale sulla sostenibilità. Stiamo parlando della Cop 26 di Glasgow, un summit che avrebbe potuto (e dovuto) decretare finalmente un cambio di passo per l’umanità che si sta velocemente avvicinando a un baratro, come dimostrano i rapporti degli ultimi anni dell’IPCC (il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite).

Alla fine di due intense settimane di dibattiti e incontri si sono ottenuti due risultati principali. Il primo è l’aver fissato a 1,5 gradi, e non più a 2, l’obiettivo dei paesi del mondo sul riscaldamento globale. Il secondo è l’accordo di cooperazione tra Usa e Cina sulla lotta alla crisi climatica. Il documento fissa anche l’obiettivo minimo di decarbonizzazione per tutti gli stati firmatari: un taglio del 45% delle emissioni di anidride carbonica al 2030 rispetto al 2010 e zero emissioni nette intorno alla metà del secolo. Altro successo è aver previsto che gli stati firmatari dell’Accordo di Parigi (cioè tutti i quasi 200 stati del mondo) presentino nuovi impegni di decarbonizzazione entro la fine del 2022. 

Nonostante ciò, la dichiarazione finale è risultata per molti un documento “annacquato”. Il carbone, che nei primi giorni del summit sembrava ormai spacciato, è stato salvato da India e Cina che hanno fatto in modo che si passasse da una chiusa delle centrali a una semplice riduzione. Anche lo stop ai sussidi pubblici ai combustibili fossili non ha ricevuto il consenso unanime.

Infatti il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente ha pubblicato l’ultimo Production Gap Report, secondo il quale, nonostante gli obiettivi della decarbonizzazione i governi prevedono nel 2030 di produrre più del doppio delle quantità di combustibili fossili di quanto sarebbe coerente con la limitazione del riscaldamento globale a 1,5° C.

“Il rapporto dimostra che dall’inizio della pandemia di Covid-19 molti paesi hanno destinato oltre 300 miliardi di dollari alle attività riguardanti i combustibili fossili, molto di più di quanto non abbiano stanziato per l’energia pulita.

Farhan Haq, vice portavoce del Segretario generale dell’ONU

Il rapporto mostra che c’è ancora molta strada da fare per un futuro ecologico. Ha indicato inoltre l’urgenza per tutti i restanti finanziatori pubblici e privati, comprese le banche commerciali e i gestori patrimoniali, di trasferire i loro finanziamenti dal fossile alle energie rinnovabili per promuovere la piena decarbonizzazione del settore energetico e con accesso alle rinnovabili per tutti.

Altri obiettivi mancati riguardano gli aiuti ai paesi meno sviluppati per affrontare la crisi climatica.
In primis, il fondo alimentato dai paesi ricchi per consentire ai paesi poveri di decarbonizzare e di ristorare i danni e le perdite del cambiamento climatico, rimane una chimera. Il documento finale invita i paesi ricchi a raddoppiare i loro stanziamenti, e prevede un nuovo obiettivo di finanza climatica per il 2024.

Ma il fondo da 100 miliardi di dollari all’anno di aiuti ai paesi meno sviluppati per la decarbonizzazione, previsto dall’Accordo di Parigi, non ha una data di realizzazione. Doveva partire nel 2020 e a Glasgow si sperava di avviarlo nel 2023, ma anche questa data è saltata dalla bozza finale. I paesi meno sviluppati chiedevano anche un ulteriore fondo per ristorare i danni e le perdite che subiscono dal clima (i cosiddetti loss and damage), che però non ha trovato spazio nella dichiarazione.

Alla fine, le valutazioni sul risultato di Glasgow sono state diverse: c’è chi è soddisfatto, una minoranza, chi ritiene il compromesso accettabile e chi invece avrebbe voluto e sperato in molto di più.

Tra i vari eventi, la Cop ha dedicato uno spazio anche al Turismo.

“Il settore del turismo ha meno di 10 anni per accelerare la transizione verso soluzioni aziendali circolari e a basse emissioni di carbonio, per creare nuove opportunità nella generazione di energia e dimezzare le emissioni dei trasporti entro il 2030 e per integrare soluzioni basate sulla natura nelle proprie attività“.

Inger Andersen, Direttrice esecutiva dell’UNEP

Stando all’ITP (International Tourism Partnership) per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi il settore dovrebbe ridurre le emissioni del 66% entro il 2030 e del 90% entro il 2050.

È stata quindi lanciata la “Glasgow Declaration: a Committment to Decade of Climate Action in Torurism”, sviluppata  dal Programma Ambiente delle Nazioni Unite (UNEP) e dall’Organizzazione Mondiale del Turismo (UNWTO), il cui obiettivo è di guidare e allineare l’azione per il clima tra le parti interessate del turismo e dei viaggi, comprese le agenzie governative e istituzionali; i donatori e le istituzioni finanziarie; le organizzazioni internazionali; la società civile; il settore privato; e accademico. La dichiarazione vuole anche spingere l’industria del turismo ad accelerare la sua transizione verde. In gioco ci sono quasi 300 milioni di posti di lavoro.

L’industria dei viaggi si basa sull’avere destinazioni in cui la gente voglia andare; e nel caso di un cambiamento climatico sopra i tre gradi, in alcune di queste destinazioni non varrà più la pena viaggiare.

 E ciò significa che milioni di persone perderebbero il lavoro in quei paesi. È quindi evidente che il settore turismo ha un grande interesse nella decarbonizzazione perché un Pianeta distrutto non serve a nessuno. 

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